Bruno Lima Rocha, 10 luglio 2014
Questo articolo è stato scritto nella prima quindicina di giugno, quando ancora ISIL non aveva stato procamato il califfato. Vi si analizza la assurda alleanza, tollerata da Dipartimento di Stato e dal Pentagono, in cui il flusso di risorse alimentato dalla monarchia saudita, giova ai fondi di mantenimento di una frazione ancora più conservatrice e medioevale di Al-Qaeda. Nel Mondo Arabo continua l'inferno in nome della geopolitica.
Con l'avanzata sul fronte iracheno dello Stato Islamico di Iraq e Levante (ISIL) l'integralismo trova un nuovo protagonista. Fondato da un ex-professore universitario, Abu Bakr al-Baghdadi, ISIL opera su due fronti (Siria e Iraq), e con la fusione con il Fronte Nusra nella guerra civile siriana, ha preso la testa dello jihadismo nella regione. I suoi dirigenti tendono a catalizzare gli jihadisti sunniti, in seguito al non riconoscimento dell'erede formale di Al-Qaeda, Al Zawahiri. Lo slogan di questa organizzazione é: "Sheikh Baghdadi e Sheikh Osama Bin Laden sono simili". Anche se questa organizzazione non costituisce una novità per gli specialisti ed i sopravissuti del Mondo Arabo, é importante per l'opinione pubblica mondiale sapere che i gruppi armati del wahabismo sono figli bastardi dei petrodollari affluiti attraverso le reti dell'intelligence coordinate dalle monarchie della Arabia Saudita e del Qatar.
In questi più di 3 anni di guerra civile siriana, un conflitto in cui l'opposizione di maggioranza sunnita è organizzata in due grandi campi, ISIL rappresenta i capitali sauditi e del Qatar. L'altro campo, costituito dall'Esercito Libero di Siria, nato da una scissione nella struttura dell'esercito nazionale un tempo controllato dal clan Assad, opera con finanziamenti della Repubblica Turca ed é visto con simpatia dalla Casa Bianca. Gli strateghi del Pentagono impattano con la volontà politica autonoma o meglio suicida delle elite arabe sunnite, miliardarie e conservatrici. Adepti della transanazionalizzazione delle guerre siriana ed irachena, puntano a trasformare entrambi i campi di battaglia in un conflitto civile e comunitarista (settario) tra sunniti e sciiti. Lo squilibrio nasce dall'autonomia operativa di ISIL e dalla sua motivazione guerriera, con un pò di attitudine selvagge e di relazioni pubbliche via internet.
Nella battaglia per la presa di Mosul, 30.000 soldati "iracheni" si sono ritirati davanti ad 800 jihadisti, abbandonando una località strategica. Il governo del primo ministro sciita Nouri al-Maliki sa che se ISIL avanza ancora, quello che resta del suo governo e dello Stato fantoccio andrà incontro ad un collasso. L'appoggio saudita e delle reti wahabite ha portato ISIL ad essere egemone in un terzo dell'Iraq originario ed a garantirsi autononia operativa in un'area equivalente in Siria. Applausi per gli strateghi del Pentagono e delle lobby del petrolio che non rompono con le monarchie arabe e con il loro doppio gioco insieme agli integralisti sunniti.
Che paese è diventato l'Iraq dopo le invasioni dei due Bush?! L'opera nefasta dei soci di Bush e Dick Cheney avanza a meno di 100 km da Baghdad. La setta - o la nuova generazione di Al-Qaeda - o Esercito per lo Stato Islamico di Iraq e Levante (Levante é la denominazione storica del Medio Oriente) già controlla più di un terzo del territorio iracheno e si è impossessata di oltre 425 milioni di dollari USA nella sua avanzata su Mosul, la seconda città del "paese". Risultato: forse gli jihadisti sunniti non vinceranno, ma decreteranno la morte di quella finzione giuridica chiamata Iraq del dopo Sadam Hussein.
Bruno Lima Rocha
Professore di relazioni internazionali e di scienze politiche
Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali